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Riservatezza: relazioni salutari e intimità


Riservatezza: reperto o necessità?

Riservatezza è una parola che oggigiorno sembra essere un reperto antico e lontano, ma voglio soffermarmi proprio su questa parola e sul legame che ha con la salute nelle relazioni umane.

Che cosa vuol dire esercitare la riservatezza? Che cosa vuol dire rispettarla?

Riservatezza è una quaità che qualifica un comportamento. Un comportamento o un’azione sono riservati quando vengono protetti, quando vengono custoditi e quando sono visibili a determinate persone. Confidare un segreto ad un amico è ad esempio una richiesta di riservatezza.

Un caso tipico: la riservatezza nella relazione terapeutica

La relazione tra terapeuta e paziente è una relazione d’aiuto regolata dalla riservatezza che il terapeuta ha l’obbligo deontologico di mantenere nei confronti delle storie e dei dati di cui viene a conoscenza da parte del cliente. In questo contesto, la riservatezza oltre ad essere un preciso dovere professionale serve alla relazione. La relazione ha bisogno della riservatezza per instaurarsi e mantenersi in un clima di fiducia. Quella fiducia nel fatto che il terapeuta terrà per sè ciò che ascolta e lo metterà a servizio della terapia, è il collante di una base sicura su cui appoggiare la propria richiesta d’aiuto, certi che non sprofondi e che resti visibile entrambe le parti.

La sicurezza del cliente che, metaforicamente, non crolli il pavimento sotto i suoi piedi quando consegna al terapeuta la sua richiesta, è una garanzia.

La certezza che tutto quello che la persona dirà rimarrà in quella stanza è come una rete di protezione per il suo mondo interno, quel mondo interno che pian piano lei stessa si permette di esprimere e che viene fuori sottoforma di ricordi, di emozioni legate ad essi, di racconti, di frasi pronunciate a denti stretti, di pensieri sottovoce, di parole rumorose e inaspettate.

È proprio su quella rete che terapeuta e cliente iniziano a muoversi, trovando un equilibrio sempre diverso a seconda delle maglie che vanno toccando.

Rispettare quella rete vuol dire dare a sè stessa e all’altro il permesso di camminarci sopra, vuol dire per il terapeuta essere consapevole della grande concessione che la persona le sta facendo e per la persona mostrarsi nella misura in cui sceglie di fare.

Riservatezza dunque è proteggere, custodire, è preservare la libertà di mostrarsi senza la paura di essere feriti per averlo fatto, è intimità, è la possibilità di scegliere con chi guardarsi dentro.

Riservatezza al tempo dei social: esposizione e perdita della dimensione intima

Questo tipo di riservatezza è invece molto spesso difficile da tenere salda nelle relazioni umane di tutti i giorni, soprattutto in un periodo storico in cui pubblicare e postare riguardo alla propria vita privata esponendola allo sguardo e al commento di altri, sembra essere diventato un comportamento abituale e automatico per molte persone. Coltivare la riservatezza nelle proprie relazioni e nei propri legami è tornare ad un’intimità che l’esposizione ad ogni costo annulla, è tornare ad un calore che non si disperde ma si rinforza, è riscoprire una dimensione di sè con sè che si pone a fondamento di relazioni autentiche, costruite avendo sperimentato il buon sapore che ha l‘affidarsi. Se vogliamo intessere relazioni e legami salutari, torniamo a nutrire l’intimità reale, quella che non si espone ai quattro venti ma si riserva, si intreccia silenziosamente e si custodisce nel suo inestimabile valore.


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