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Conflitto: come si genera, a cosa serve, come affrontarlo. Spunti educativi per i genitori


Il conflitto ha a che fare con le relazioni umane. In che senso?

I conflitti avvengono tra genitori e figli, all’interno dei gruppi di appartenenza, tra partners, tra persone reali o fantasticate, all’interno di noi stessi ci sono parti di noi in conflitto.

  • Come si genera il conflitto?

Possiamo dire che fino a 10 anni l’affettività del bambino ruota attorno ai genitori, al gioco. Con l’arrivo della pubertà l’affettività diventa molto più conflittuale. L’ambiente di riferimento non è più solo quello familiare ma l’intera società.

Emergono allora due temi che devono essere affrontati: imparare a reagire alle frustrazioni (al dispiacere) e alle gratificazioni (al piacere). Non imparare a gestire la frustrazione provoca violenza, non imparare a gestire le gratificazioni provoca superficialità ed eccessivo egoismo.

La violenza può essere di due tipi: eterodiretta (diretta agli altri) o retroflessa (diretta a sè stessi). La cronaca è piena di storie in cui la violenza è protagonista in entrambe le modalità.

  • Perchè si genera il conflitto (a cosa serve)?

“Nella formula classica i conflitti vengono intesi conflitti come conflitti negativi e quindi devono venire sciolti. Tuttavia i conflitti interni in particolare hanno una forte carica di energia e sono pieni di interesse e costituiscono i mezzi della crescita” (Perls, Hefferline, Goodman)

I conflitti dunque fanno parte di noi e ci aiutano a crescere. Come?

Per comprendere questo pensiero è fondamentale conoscere la differenza tra violenza e aggressività: il termine aggressività deriva da ad-gredior che vuol dire andare verso e ha a che fare con quell’emozione umana che si chiama rabbia. L’aggressività ha a che fare con l’esprimere la rabbia, la violenza ha invece ha che fare con l’agire la rabbia.

La differenza tra esprimere e agire è la differenza tra il saper gestire l’emozione rabbia e lo scaricarla su di sè o sugli altri perchè non sappiamo gestirla.

Tra esprimere e agire la rabbia c’è la possibilità di negarla, cioè il non ammettere di provare rabbia per qualcosa: negare la rabbia porta ugualmente alla violenza perchè crea l’effetto pentola a pressione che prima o poi, in un modo o in un altro, esploderà spesso senza preavvisi.

L’emozione rabbia fa parte dell’essere umani, allora il discorso non è fare finta che non ci sia ma farci qualcosa di buono anzichè di violento e distruttivo. Questo si impara, si può fare ed è un’educazione possibile per i bambini, per gli adolescenti e per gli adulti.

  • Conflitto e educazione:

Imparare a farci qualcosa ha a che fare con la gestione della rabbia, della frusrazione, del dispiacere, della paura e del dolore. La rabbia è infatti un’emozione complessa che copre in alcuni casi la paura e in alcuni casi il dolore. Un dolore non consolato, una paura non rassicurata si trasforma in rabbia, un’emozione di cui bisogna prendersi adeguata cura. La rabbia si trasforma in violenza se non impariamo a conoscerla, riconoscerla e gestirla. Il famoso Psichiatra Vittorino Andreoli afferma che i ragazzi conoscono le regole ma non le applicano perchè sono fragili e insicuri dal punto di vista emotivo.

Educare è difficile ma possibile. Mettere in atto comportamenti educativi è un punto d’arrivo.

Quale autorevolezza educativa (nè permissivismo nè autoritarismo) per i genitori? Qualche cenno:

  • Spiegare sempre perchè si chiede di rispettare una determinata regola;

  • Ogni regola che chiediamo di rispettare ai figli deve essere rispettata anche dai genitori;

  • Il ruolo del genitore non è fare l’amico ma assumersi la responsabilità delle regole che si danno ed essere coerenti con esse, solo così il no del genitore verrà preso come una regola anzichè come un’opinione;

  • Prendersi cura della crescita emotiva, non reprimere le emozioni ma consentirne l’espressione in famiglia, se il genitore lo fa il figlio imparerà a farlo e beneficierà degli effetti salutari sia in sè stesso che nel clima familiare

  • Come affrontarlo il confitto (che farcene)?

Solitamente il conflitto che è per definizione una tensione fra due forze opposte contiene in sè l’emozione rabbia sperimentata dalle persone coinvolte nel conflitto stesso. Se la rabbia viene espressa allora crea le condizioni per andare verso l’altro usando l’aggressività costruttivamente, se invece è agita crea le condizioni per prevaricare l’altro. Sentire la propria rabbia e esprimerla crea un movimento verso l’altro: la rabbia espressa non ha a che fare col giudicare il comportamento dell’altro, ha a che fare con il descrivere all’altro che effetto ci fa ciò che lui ha fatto.

Fare questo significa prendersi la responsabilità di ciò che si vuole comunicare, del fatto che quello che si comunica fa parte di sé.

In questo modo il conflitto può essere un’opportunità di crescita e di conoscenza nelle relazioni:

  1. Rivela all’altro qualcosa di noi

  2. Ci permette di riconoscere le nostre emozioni e di conoscere quelle dell’altro

  3. Ci mette in contatto con quello di cui abbiamo bisogno in quel momento e in quella relazione

  4. Ci fa conoscere cosa non piace all’altro di ciò che facciamo

  5. Ci fa conoscere cosa apprezza l’altro di ciò che facciamo

  6. Ci spinge (e in questo senso è movimento ed energia per la crescita di sè e della relazione) a chiederci cosa possiamo e vogliamo concretamente fare di diverso nella relazione con l’altro per ottenere effetti diversi (non perchè deve cambiare lui ma perchè cambia quello che facciamo noi verso di lui).

In questo senso il conflitto conduce alla crescita, se siamo capaci distare con quello che accade a noi e all’altro e di farne tesoro.

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