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La fatica di crescere. Spunti e punti salienti dalle parole di Vittorino Andreoli


Lo scorso venerdì 14 giugno 2019 ho avuto il piacere di ascoltare il Professor Vittorino Andreoli, psichiatra di fama mondiale, durante la sua Lectio Magistralis dal titolo "La fatica di crescere" organizzata dalla Cooperativa Sociale Ama Aquilone presso il Palariviera di San Benedetto del Tronto.

Voglio qui riprendere alcuni dei punti salienti sviluppati da Andreoli in questa occasione, che ho raccolto perchè ritengo sia importante tenerli a mente, che il lettore sia un genitore, un insegnante, un operatore d’aiuto, uno psicoterapeuta, un educatore. Qualunque sia il ruolo del lettore all’interno delle relazioni che intrattiene nella propria vita privata e professionale, le parole con cui il Professore è intervenuto, che evidenzierò come citazioni tra le virgolette, saranno uno strumento di riflessione importante e utile a vari livelli.

La fatica di crescere: scoprire il desiderio dell’altro e accordarci al suo tempo vissuto

Dice Andreoli: “Per comprendere i bisogni occorre analizzare i desideri. Chi è in una relazione d’aiuto vuole essere aiutato a realizzare i desideri. Il desiderio ha bisogno della percezione del futuro, il desiderio è la capacità di immaginarmi domani diverso da come sono oggi. Lasciare aperto lo spazio del futuro. Come si fa ad aiutare a vivere senza un tempo di vita? L’educazione si fonda sul tempo che passa, sulla lentezza, sulla percezione del tempo in cui vive l’altro internamente. Il vuoto è un pieno che noi non riusciamo a vedere con i nostri sensi, il vuoto dell’adolescente è un vuoto apparente che noi non stiamo guardando con gli occhiali giusti per vedere tutti i desideri che ha dentro.

Occorre scoprire i desideri, prima di programmare la vita futura dei figli. Non dobbiamo mai mettere dentro, cerchiamo di vedere quello che è invisibile. La relazione è la scoperta dell’altro per aiutarlo a vivere. Il futuro è immaginarsi il tempo che verrà. Costruire come vorresti essere, è un progetto che riguarda l’esistenza. Se noi riusciamo a dare questa consapevolezza del<<l’uomo tutto intero>>, come lo chiama Piaget, riusciamo a dare forza al futuro. Il nostro oggetto di attenzione è avere questo riferimento, ci occupiamo della versione di quell’uomo in quel mondo. Non parliamo di corpo ma di io corporeo, cioè dell’identità con il mio corpo. La personalità si costruisce con le esperienze, con l’interazione tra persona e ambiente/altri. La dipendenza digitale è la perdita della coscienza del mondo. Il mondo digitale è un mondo fatto di sagome, il mondo reale è un mondo fatto di oggetti con un peso e una resistenza. Bisogna ricollegarsi a partire dai sensi al mondo. Questo è vedere l’uomo tutto intero”.

L’accento sul tempo vissuto, sull’importanza di sintonizzarci con questa dimensione nel momento in cui entriamo in relazione con l’altro e in particolar modo se si tratta di una relazione d’aiuto, richiama il prezioso testo dello psichiatra francese Minkowski "Le temps vécu" (Il tempo vissuto. Fenomenologia e Psicopatologia), uno dei maggiori esponenti della psichiatria fenomenologica che Andreoli ha avuto il piacere di conoscere, come lui stesso ha ricordato, e di cui ha ammirato questa visione lungimirante, che apre alla comprensione dell’esperienza altrui attraverso la porta di una dimensione soggettiva fondamentale dell’esistenza, che è appunto il tempo (insieme allo spazio e al corpo vissuto). In base a come una persona vive internamente il tempo cambia totalmente la sua esperienza, cambia il senso che attribuisce a ciò che le accade e cambia il modo in cui affronta le situazioni della sua vita. Abituarci a guardare l’altro attraverso questi occhiali è un modo di conoscere come sente e come vive quello che ci sta raccontando.

L’educazione come costruzione di memorie nuove

“L’apprendimento è legato alle esperienze e le esperienze costruiscono memorie, queste piccole costruzioni neuronali si possono riorganizzare, per cui è scientificamente provato che non è vero che non c’è mai niente da fare. Le esperienze in termini di neuroni diventano strutture, legami che si formano nel cervello plastico. Per questo si possono sciogliere e riformare, ricostituire in un altro modo attraverso degli interventi. L’idea della malattia mentale ha assunto un altro aspetto da quando il cervello non è più visto come un cristallo che si può rompere senza rimedio. Educare vuol dire formare nuove strutture. Una grande apertura è stata quella del cervello plastico. Per questo la sberla educativa non esiste, perchè bisogna guardare come è vissuto quel gesto ”

L’evidenza scientifica per cui il cervello non è un cristallo che se si rompe non si può riparare ma è una struttura plastica ha portato alla svolta nel campo dell’educazione, della psicoterapia, della psichiatria, e in generale in tutte quelle aree di intervento in cui si lavora per migliorare la qualità dell’esistenza delle persone. il processo è al centro, non abbiamo a che fare come professionisti d’aiuto con strutture cristallizzate ma con legami flessibili che generano movimento e si riorganizzano sulla base del supporto ricevuto. Di tutto quello che viviamo rimane memoria a livello neuronale. La Psicoterapia è un tipo di intervento che si colloca all’interno di questa evidenza e aiuta la persona a passare da una situazione in cui crede di non avere via di uscita a una situazione riorganizzata, in cui scoprire il proprio spazio di manovra, in cui affrontare i problemi attingendo alle risorse sviluppate attraverso il lavoro, in cui è possibile superare il proprio trauma grazie all’aiuto proveniente dalla relazione terapeutica, dalla migliore relazione con sè stessi che si va consolidando e dalla funzione plastica neuronale che scioglie, ricostituisce e lavora silenziosamente in parallelo per mantenere il cambiamento acquisito aumentando la qualità della vita.

L’importanza della fragilità dei genitori per crescere i figli

“La coscienza dell’uomo è fragilissima. La fragilità è legata alla condizione umana, è la coscienza dei propri limiti. Se tu hai il senso della tua fragilità vuol dire che hai bisogno dell’altro. La fragilità di un padre si pone a servizio della fragilità del figlio, la fragilità mostrata dal padre avvicina il figlio e gli insegna a vivere la propria fragilità e crea fiducia e autorevolezza, non potenza. I figli non hanno bisogno di vedervi potenti, ma disponibili, in un rapporto tra fragilità ”

La fatica di crescere è anche per il genitore che cresce mentre cresce il figlio. La sua disponibilità ad accogliere e riconoscere la fragilità che lo caratterizza è la strada per comprendere la fragilità del figlio e quindi le sue difficoltà man mano che si presentano. Un figlio ha bisogno di sentire che va bene avere dei limiti, che è non riconoscerli la vera miseria e che i suoi genitori hanno fatto tesoro di questo a tal punto da mostrarsi a lui con le fragilità che hanno, che li caratterizzano come esseri umani. La dimensione di umanità si tiene viva se ci permettiamo di contattare la nostra fragilità e a partire da questa acquisiamo rispetto per la fragilità altrui. Quel rispetto che è serve a instaurare relazioni di fiducia.

I momenti fondamentali della crescita di un bambino

“Ci sono dei momenti fondamentali da monitorare:

0-3 anni: come sottolineato dalla Mahler e da Bowlby in genere a 3 anni si compie la seprazione-individuazione cioè il bambino percepisce l’io, io e mio, all’io si lega il processo del mio. Si individua per separazione, mentre fino a quel momento non era chiaro. Se questo processo non è completo e il bambino non è ancora un io, non bisogna portarlo all’asilo, cioè bisogna rispettare i suoi tempi di crescita.

4-6 anni: si sperimenta il legame tra l’io e le relazioni. Mentre nella prima fase l’io si individua dal resto, in questa fase l’io si sperimenta. Da 0 a 3 anni tutte le immagini che si sovrappongono creano confusione, hanno un’accelerazione che non permette un’elaborazione, perchè non c’è lo stacco dalle immagini del padre e della madre. Perciò gli strumenti tv e digitali, non bisogna darli prima dei 4 anni. Il gioco è qualcosa che accade nella mente del bambino che inizia a immaginare le relazioni e ad allenarsi. Il gioco non c’è bisogno di sistemarlo, come diceva la Montessori, basta dar loro delle cose e loro creano. Stiamo sostituendo la loro fantasia”

Rispettare i tempi di crescita di ciascun bambino e non sostituire la loro fantasia. Queste due indicazioni pratiche chiariscono ancor meglio la necessità di osservare i bambini invitando i genitori e gli educatori a non accelerare, non anticipare, non iperstimolare, ma a chiedersi se il tempo interno del bambino (concetto base che ancora una volta ritorna) è pronto ad adattarsi alle tappe previste, cogliendo i suoi bisogni con grande rispetto.

Adolescenze: la conflittualità che permette lo sviluppo

“La pubertà è il segnale di una metamorosi che porta all’adolescenza. Immaginando di entrare nella testa di un adolescente: Qual è il motore del suo comportamento? Comprendere evita la facile strada della condanna e del giudizio. L’adolescenza nasce con un fatto biologico, una metamorfosi del corpo, è prendere coscienza che da un corpo infantile si passa ad un corpo di genere e cambia la rappresentazione del corpo. Cambia cioè anche la mente, gli affetti, l’insicurezza, la paura. Il bambino ha paura delle cose, l’adolescente ha paura delle immagini, di quello che crea lui come dramma (il seno, il non andare bene, l’essere diverso…). C’è un dramma del corpo. Non c’è un adolescente che si piaccia veramente. Ci sono diversi tipi di adolescenza.

Le adolescenze conflittuali (con sè stessi, con gli altri): il conflitto tra figli adolescenti e madre/padre sono tanto più forti quanto più l’infanzia è stata perfetta, perchè è più difficile entrare in un mondo in cui c’è confronto. Guai se non c’è conflitto, il conflitto è necessario alla crescita.

Le adolescenze difficili e patologiche.

Bisogna considerare che la situazione normale è la conflittuale. Il comportamento dell’adolescente va diviso in tre parti.

Il comportamento trasgressivo (seguire un comporamento accettabile, uscirne e poi rientrare). Prima c’erano i luoghi della trasgressione. Il carnevale, inventato dalla Repubblica di Venezia, era una maniera per dare l’impressione che c’era un tempo per la protesta.

La trasgressione è diversa dall’opposizione che è fare l’opposto di quello che ci viene richiesto a prescindere dal fatto che ci piaccia. È una dipendenza al contrario. L’opposizione è un comportamento di cui bisogna occuparsi.

Il terzo comportamento è della rivolta. Il termine si lega ad Albert Camus, letterato che scrive il saggio <<l’Uomo in rivolta>> e dice che è colui che di fronte a una richiesta la valuta per vedere se è compatibile con le proprie convinzioni e il proprio modo di sentire. La rivolta è il comportamento che permette uno sviluppo, è dire caro papà ti dico di no.

Comincio a stabilire che i comportamenti possono essere diversi da quelli che ho visto esprimere ai miei genitori.

La possibilità che l’uomo ha di andare contro il destino grazie alla volontà, questo è lo sviluppo, quando i figli riescono a fare qualcosa che non hanno fatto i padri”

L’adolescenza è l’età del conflitto e della rivolta. È il momento in cui il nido familiare è messo alla prova dal figlio che ha la necessità di testarne i limiti per poter strutturare una propria identità, un proprio pensiero critico, un proprio sistema di valori che potrà essere diverso e differenziato da quello dei genitori. È l’età in cui si impara l’importanza di dire di no e di sostenere la propria posizione senza la paura, propria dell’infanzia, di perdere l’affetto dei genitori qualora il proprio comportamento e il proprio pensiero non fosse approvato da loro. È sperimentare l’elastico relazionale per cui è possibile attuare una circolarità ripetuta tra allontanarsi per muovere i primi passi verso la costruzione della propria vita al di fuori delle mura familiari e successivamente riavvicinarsi per dare e ricevere affetto, senza che quest’ultimo diventi vincolo per il successivo naturale allontanamento. È proprio questo susseguirsi circolare di allontanamento e riavvicinamento che ha la funzione di fortificare quella che sarà l’indipendenza adulta a livello emotivo, affettivo e relazionale.

Educare è aiutare a vivere per spiegare le ali nel futuro

“Noi viviamo in una società particolarmente violenta, sempre più il nostro comportamento è dominato dagli istinti. Dobbiamo lavorare sui freni inibitori, gli adolescenti si accorgono dopo di aver compiuto comportamenti fuori regola, fuori legge. Un uomo pulsionale è un uomo incapace di applicare i freni. La distruttività, la violenza contro sè stessi. Di fronte ad un istinto distruttivo i freni inibitori evitano di mettere in atto il comportamento violento. C’è una educazione ai freni inibitori, l’educazione non ha come scopo le buone maniere di decorazione, ma aiutare a vivere. Saper controllare i freni inibitori, è educare alle emozioni e ai sentimenti. La rabbia è una violenza che non è ancora uscita, verso qualcuno o verso sè stessi. In una società che non ha voglia di aspettare, che è sempre in tempo reale, bisogna lavorare su questo. Le frustrazioni generano rabbia, c’è voglia di distruggere, di cancellare. Aiutiamo i ragazzi perchè non si turpino le ali, perchè c’è spazio nel futuro per poterle spiegare”

Educare alle emozioni e ai sentimenti. Questo è l’aiuto che dobbiamo fornire come genitori, come psicologi, come educatori, come professionisti d’aiuto. Creare nelle nostre relazioni lo spazio per accogliere l’attesa, la frustrazione, la rabbia, la gioia, il dolore, la paura, la gelosia, l’invidia, tutte le emozioni che colorano le nostre esistenze e che nel momento in cui le proviamo ci stanno chiedendo attenzione, ci stanno chiedendo di essere ascoltate perchè solo se le ascoltiamo ci informano su come stiamo, e ci illuminano la strada!

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