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Sentirsi rifiutati: come rialzarsi di fronte alle bastonate della vita


La vita è fatta di esperienze e ogni esperienza che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo ci lascia qualcosa: un sapore, un odore, un insieme di emozioni. Così, anche quando finisce un’esperienza e ne inizia una nuova, resterà dentro di noi la memoria di quella precedente. Quando sentiremo di nuovo quel sapore, quell’odore, quelle emozioni, riaffiorerà il ricordo dell’esperienza vissuta.

È per questo che se l’esperienza che abbiamo vissuto ci ha regalato un buon sapore e ci ha fatto provare emozioni piacevoli, ricordarla ci gratificherà e forse ci strapperà un sorriso.

Quando invece il sapore di un’esperienza è spiacevole, ricordarla ci riporta a soffrire. Imbattendoci in esperienze simili quel ricordo tornerà a galla e con lui diverse emozioni dolorose.

È quello che accade quando ci sentiamo rifiutati. Sia in ambito affettivo (nelle relazioni tra amici e con il patrner), sia in ambito lavorativo (nei rapporti tra colleghi ad esempio).

Sentirsi rifiutati è un po’ come immaginare che la vita ci prenda a bastonate e rialzarsi non è sempre facile.

Di fronte a un rifiuto possiamo sentirci a diversi livelli e intensità, fragili, insicuri, come se al mondo non ci fosse un posto per noi. Questi sentimenti e questi pensieri vanno ad alimentare la nostra sfiducia e possono influenzare le nostre decisioni.

Ogni rifiuto, più o meno velato, ci mette davanti a noi stessi e ai nostri “buchi” personali, alla nostra parte vulnerabile.

Ecco che posticipiamo quel viaggio che volevamo tanto fare, rimandiamo quella telefonata per un posto di lavoro, evitiamo di scrivere quella mail che ci permetterebbe di riallacciare un contatto con una persona lontana geograficamente. E ci sentiamo sempre più soli. Come se si restringesse il terreno sotto ai nostri piedi.

La sfiducia mette radici nel momento in cui prendiamo il rifiuto dell’altro come lo specchio reale delle nostre competenze personali e/o professionali.

Dimentichiamo in momenti come questi che l’altro, come noi, ha le sue vulnerabilità, e anche con quelle ci risponde. La risposta dell’altro proviene da un altro che a sua volta ha le sue ferite, la sua rabbia, la sua paura, la sua tristezza, il suo dolore.

Tenere presente questo ci aiuta ad allargare la visuale sul rifiuto e su di noi: non siamo noi imperfetti in un mondo di altri perfetti, ma siamo tutti esseri umani che faticano ogni minuto per mantenere il proprio equilibrio. Per fare della propria vita una vita che desideriamo vivere.

In quest’ottica il rifiuto assume nuova prospettiva. È un punto di dolore e sofferenza che esiste e si ri-presenta nel corso della vita, e accanto a questo è una circostanza che ci fa comprendere qualcosa di noi e degli altri:

  • ci porta a riflettere sulle nostre scelte;

  • ci porta a guardare che rapporto abbiamo con il senso di colpa (è sempre colpa nostra?, è sempre colpa dell’altro?, meritiamo di essere rifiutati?, etc.);

  • ci fa scendere a patti con la paura (che mi succede quando provo paura?, in che cosa mi blocco?, in che cosa torno indietro, etc.);

  • ci porta a fare un bilancio dei fatti e a riflettere sul futuro (cosa potevo fare di diverso?, cosa ho evitato di fare?, etc.);

  • ci spinge ad imparare che le emozioni, anche quelle dolorose, vanno attraversate.

Reagire a un rifiuto è qualcosa che possiamo imparare a fare per fare in modo che esso non copra in un colpo solo tutto il buono che nella nostra vita c’è e non freni tutto il buono che ancora non c’è ma che arriverà.

Possiamo andare oltre il senso di fallimento e sconfitta iniziando innanzitutto a essere meno critici con noi stessi. Ricordandoci sempre che quando facciamo qualcosa, il risultato è solo uno fra i risultati possibili.

Quando, al termine di un’esperienza ci capita di pensare “eh ma qui potevo fare così invece ho fatto cosà” evitiamo di far diventare questo pensiero un macigno che blocca altri pensieri e altre soluzioni.

Proviamo invece a guardare cosa non ci è piaciuto di ciò che abbiamo fatto e immaginare cosa faremmo in una prossima occasione. Immaginare noi stessi susciterà un sapore piacevole o spiacevole da sentire: lasciamo che il piacere sia la nostra bussola personale e impariamo a riconoscere cosa ci fa piacere.

Riconoscere cosa ci fa piacere, cosa ci fa stare bene, soffermarsi su questo è la condizione sine qua non per trasmettere piacevolezza.

Di fronte a un rifiuto, sentiremo sì dolore, ma accanto al dolore sapremo apprezzare le nostre energie, le nostre risorse, e potremmo essere grati a noi stessi per averle scoperte, valorizzate e utilizzate. Diventando sempre più abili a coltivare il giardino dove annaffiare e far crescere la nostra fiducia.

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