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Gusto nel mangiare e gusto nel vivere: Psicoterapeuta e Nutrizionista


Qual è il legame tra il cibo e il gusto?

Che cosa lega il gusto alla dimensione del piacere e alla vita?

Come cambia la percezione del gusto nel momento in cui iniziamo una dieta o modifichiamo il nostro regime alimentare?

Perchè nutrizionista e lo psicoterapeuta sono due figure che devono essere coinvolte insieme?

Questi interrogativi pongono l'attenzione sul fatto che quando parliamo di cibo non parliamo solo di cose da mangiare ma parliamo anche di cibo mentale cioè di sensazioni, emozioni, pensieri che alimentano la nostra mente.

Parliamo di sapori, di dolce, salato, amaro, aspro, disgustoso, piacevole, indigesto. Parliamo cioè di qualità, di aspetti che qualificano un alimento, o una situazione, o una persona a seconda del fatto che ci riferiamo al cibo fisico o a quello mentale.

Il cibo è un crocevia metaforico su cui passano tanti altri significati esistenziali. Mangiare è un’attività che non ha solo a che fare con la sopravvivenza ma ha anche a che vedere con l’area del piacere: il gusto del mangiare diviene così un’analogia del gusto di vivere.

Paolo Quattrini a questo proposito dice qualcosa di veramente interessante che voglio riportare:

“se una persona non ha un gusto differenziato che beva acqua o champagne è uguale; se invece ha un gusto differenziato, l’acqua può essere addirittura più interessante del vino […] produce senso e incontrare le cose del mondo in questa maniera è proprio il contrario di quel deprimersi che è sintomo di una vita che ha smesso, appunto, di avere senso” (Quattrini, 2004).

La dimensione del gusto e del piacere è proprio quella dimensione, vitale per la persona, che però rischia di essere messa in crisi quando il corpo in cui ci identifichiamo non ci piace più.

Ci vediamo ingrassati, ci sentiamo arrabbiati perché non entriamo più nei jeans e possiamo iniziare sulla scia di questi stati d’animo a restringere il nostro regime alimentare. Il più delle volte quello che accade in questi casi è che a fronte di grandi sforzi quello che otteniamo non basta a ripagare la fatica fatta.

Forse dopo vari tentativi prenderemo la decisione di iniziare una dieta rivolgendoci ad un nutrizionista che ci aiuti a migliorare il nostro modo di mangiare.

Avremo un piano alimentare a cui fare riferimento, sapremo cosa mangiare, cosa diminuire, cosa aggiungere, cosa modificare in vista dell’obiettivo che vogliamo raggiungere. Familiarizzeremo con l’utilizzo della bilancia per tenere sotto controllo il peso corporeo e seguiremo verosimilmente passo dopo passo le indicazioni che il professionista ci avrà fornito studiando il nostro caso con competenza.

Spesso le persone si fermano qui: arrivano all’obiettivo fisico e credono di aver risolto il loro problema.

Quello che rimane più latente è vedere cosa si sono lasciate dietro, a cosa cioè hanno rinunciato e cosa hanno sacrificato di loro stesse per ottenere quel risultato sul piano fisico.

Dimenticano che il piano fisico e quello mentale vanno di pari passo e che lasciarne indietro uno porta uno squilibrio che può manifestarsi in tanti modi diversi:

  • nel controllare ossessivamente quello che si mangia;

  • nel non riuscire a godere di un pranzo tra amici perché tutta l’energia mentale è posta sulle calorie che dovremo smaltire il giorno dopo; nel sentirsi in colpa dopo ogni pasto;

  • nel far diventare l’argomento calorie il principale argomento di conversazione dei propri contesti di relazione;

  • nel soffocare il proprio sacrificio compensando la fatica attraverso l’indicare agli altri cosa dovrebbero o non dovrebbero mangiare;

  • nell’aumento delle discussioni con il partner quando “dimentica” di prestare attenzione a ciò che mangia.

La conseguenza più importante di tutte che si intravede tra quelle sopra citate sta nel rischio di perdere di vista la dimensione del gusto/piacere di mangiare che diventa un rischio concreto quando si riduce il momento del pasto al seguire uno schema o una lista di alimenti da assumere.

Per questo è fondamentale che ogni strategia nutrizionale seguita dalla persona si accompagni ad un percorso psicoterapeutico.

Il processo di assunzione di cibo, come sottolinea Perls, evoca il processo di manipolazione e assimilazione da parte dell’individuo di ciò che l’ambiente gli offre.

I sensi sono la modalità con cui possiamo discriminare quello che ci arriva dall’esterno, e l’importanza del gusto in questo contesto sta nel fatto che ci permette di discernere ciò che è buono da ciò che non lo è, e non solo in fatto di cibo, ma nell’esperienza in generale.

Ricordando l’accostamento tra cibo-masticare-aggressività un percorso terapeutico in accompagnamento a un piano nutrizionale da seguire è, tra le altre cose, determinante nell’aiutare la persona a ri-stabilire il proprio personale e soggettivo censore del gusto. Sostenere l’abilità della persona a sentire il gusto del cibo fisico (e di conseguenza del cibo mentale come pensieri, emozioni, immagini) che ingerisce aiuta la persona a:

  • portare consapevolezza al fatto che sta mangiando;

  • mantenere la consapevolezza sul sapore di quello che sta mangiando ogni volta che la mente vaga altrove;

  • imparare a riconoscere i gusti;

  • riconoscere come usa i denti (fa un taglio netto? si limita a strappare il cibo? lo sminuzza?, etc.);

  • diventare consapevole di cosa le piace e di cosa la disgusta.

Il sostegno a questa dimensione del gusto e del piacere porterà cambiamenti positivi non solo nell’umore e nel recupero della piacevolezza relazionale ma aiuterà anche la persona a sentire meno fatica durante il processo di cambiamento nutrizionale.

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