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Shopping Compulsivo nell'era del marketing: riconoscerlo e affrontarlo per uscirne vivi



Si parla di shopping compulsivo per identificare un’esperienza vissuta da molte persone che contiene in sè le caratteristiche dell’impulsività e della dipendenza. La persona che vive questa esperienza sperimenta un bisogno irrefrenabile di comperare oggetti non necessari alla sopravvivenza allo scopo di liberarsi della tensione che accumula se non compie questa azione con frequenza e in maniera sistematica.


Il comportamento del comperare si definisce compulsivo quando assume la caratteristica tipica del non poter fare a meno di compiere quell’azione.


Nel caso dello shopping compulsivo la persona sente il bisogno impellente di acquistare qualcosa che non le serve direttamente a vivere, ma che se non viene acquistato occupa la sua mente e consuma la sua energia vitale fino a che la persona cede alla spinta di andare a comprare l’oggetto in questione. Fanno parte della lista capi d'abbigliamento, cosmetici, scarpe e gioielli per quanto riguarda le donne e oggetti come pc, telefonini, attrezzi per quanto riguarda gli uomini.


Per fare un esempio di questo fenomeno pensiamo al comportamento di quelle donne che passano davanti alle vetrine dei negozi di scarpe e non curanti del loro costo entrano acquistandole pur non avendo più spazio a casa per riporle tra le centinaia di altre paia e ripetendo lo stesso comportamento nei giorni a seguire. Quelle scarpe comprate sotto un irrefrenabile desiderio di possederle avranno vita breve e verranno presto sostituite dal successivo paio di scarpe a cui la persona non può rinunciare.


Questi acquisti vengono fatti a scapito degli effetti che hanno sulle restanti aree della vita personale. La persona non si rende conto della problematicità di questo atteggiamento e difficilmente lega le difficoltà che incontra nelle altre aree della sua vita con questo suo franco problema. Ecco che ad esempio l’acuirsi di conflitti con i genitori, la voglia di andare a vivere da soli e l’impossibilità di sostenere le spese che questa scelta di autonomia comporta non vengono lette come effetti del danno economico provocato dalla compulsione a comprare, ma vengono potenzialmente viste come condizioni che dipendono da qualcosa di esterno a sé, su cui la persona non ha alcun potere, come la crisi, la società, gli affitti cari, etc.


Riconoscere infatti la propria responsabilità rispetto ai guai in cui si trova, porterebbe a dover ammettere di avere un problema e di avere bisogno di farsi aiutare. Quello che invece succede è che gli effetti dello shopping compulsivo nelle altre aree sopra descritte alimentano un senso di colpa (che è ben diverso dalla responsabilità!), un senso di vergogna, una frustrazione che la persona non è in grado di reggere.


Questa incapacità a sostenere tali pesi emotivi finisce per fare da carburante al circolo vizioso in atto, per cui la persona scarica l’emotività che non riesce a gestire tornando a comprare oggetti.


Una volta acquistato quel paio di scarpe che abbiamo preso come esempio, prova una sensazione di grande euforia. Questa sensazione però è ben presto spenta dal senso di colpa e vergogna che la persona sperimenta nei propri confronti.


La persona dedica agli acquisti un tempo che interferisce con la sua vita familiare, sociale e professionale, fa acquisti al di sopra delle sue possibilità e senza preoccuparsi delle conseguenze economiche e nei momenti in cui non può acquistare sperimenta un forte stress e una sensazione di irritabilità che riversa nelle sue relazioni.


Questo punto è molto importante perché mette l’accento sul fatto che la persona sviluppa col tempo una sorta di apatia verso i problemi reali. Tutto passa in secondo piano e ciò che riempie la vita è solo l’attesa del prossimo acquisto. Nei propri contesti di relazione, amicali, sentimentali, l’argomento principale di conversazione è l’ultimo acquisto fatto: la persona spende la maggior parte della conversazione per raccontare nei dettagli com’è bello l’oggetto che ha acquistato persuadendo l’altro delle sue qualità, nel vano tentativo inconsapevole di convincere sé stessa a sentirsi meno in colpa colmando questo vuoto attraverso l’approvazione delle persone a lei vicine. La persona che sperimenta lo shopping compulsivo non si accorge, mentre sfoggia parole di lode per l’oggetto acquistato, se l’altro sia interessato o meno a quell’argomento che tanto la accende, non capta i segnali di noia delle persone che l’ascoltano ma è convinta che il proprio interesse irrefrenabile sia un sentimento comune, rinforzando così la convinzione che non si tratta di un disagio personale.


Il primo passo del lavoro psicoterapeutico riguarda appunto il fatto di portare la persona a riconoscere la propria situazione di dipendenza. Spesso chi vive insieme alla persona che la sperimenta non sa come far notare il comportamento, o nella peggiore delle ipotesi non vede in quel comportamento qualcosa di dannoso. Ecco perché l’aiuto di uno specialista è necessario nella lettura di quello che sta accadendo alla persona e nel nominare precisamente il problema presente.


La persona che vive l’esperienza dello shopping compulsivo è una persona che cerca disperatamente di riempire attraverso l’acquisto un vuoto interno, un buco nella propria personalità, una ferita nella propria anima che non riesce a sopportare e da cui non riesce a venire fuori. Lo shopping compulsivo rappresenta il modo che ha trovato per tentare di anestetizzare tutto questo, ma sappiamo bene che quando chiudiamo un dolore fuori dalla porta perché non vogliamo sentirlo, quello prontamente rientra dalla finestra.


Un altro obiettivo della psicoterapia sarà quindi quello di portare la persona a sviluppare gli strumenti per reggere la frustrazione e la posticipazione dei propri desideri, andando ad affrontare le proprie ferite.

Perché la persona possa sentire il proprio valore e possa riconoscerlo occorre che nella relazione terapeutica possa vivere un’esperienza di fiducia e di reale confronto con sé stessa. Questo la aiuterà pian piano a sostenersi, a vedere che nel mondo ci sono delle cose buone, che è possibile imparare a camminare da soli.

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