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Interruzione della Psicoterapia: quando come e perché il paziente lo sceglie


Quando una persona interrompe il suo percorso di psicoterapia compie un gesto che merita sempre attenzione, un gesto il cui senso va compreso anche in base a come e quando la persona ha interrotto la relazione terapeutica. Interrompere un percorso che si è deciso di intraprendere è infatti una scelta mossa sia da riflessioni consapevoli sul perché volerlo fare, sia da motivazioni inconsce che è profondamente utile andare a guardare.

Sull'inizio della Psicoterapia: per comprendere meglio

Per entrare dentro questo delicato tema bisogna allora che immaginiamo cosa accade quando la persona sta prendendo la decisione di intraprendere un percorso di psicoterapia, che ci entriamo un po’ dentro.

Come matura questa decisione? Non sempre, ma molto spesso, accade che prima di contattare uno psicoterapeuta passi del tempo, un tempo che intercorre tra la consapevolezza di vivere un disagio e la scelta di affrontare la situazione.

Durante questo tempo, che per alcuni dura settimane, per altri mesi, per altri anni, la persona fa i conti da un lato con i suoi dubbi, le sue perplessità, i suoi timori dall’altro con la sua consapevolezza, con la sua speranza di trovare una soluzione, con la sua spinta a volerci provare.

Possiamo dire che la maggior parte delle persone intraprende un percorso psicoterapeutico solo quando si sente messo all’angolo dalle sue difficoltà, quando le ha già provate tutte per uscire dal problema e non ce la fa più.

Questo atteggiamento purtroppo ancora oggi diffuso nei confronti dell’intervento psicoterapeutico la dice lunga rispetto ai preconcetti verso la psicologia e la psicoterapia nutriti dall’ignoranza su come funziona la psicoterapia, a cosa serve e quando è utile.

Sicuramente i media hanno un ruolo importante nel mantenimento di questi pregiudizi (basti pensare per esempio a film che mettono l’intervento psicologico sullo stesso piano di una chiacchierata in salotto), e accanto ai media anche gli altri professionisti della salute spesso non informati riguardo alle funzioni della psicoterapia rischiano di fornire informazioni e indicazioni sbagliate (basti pensare a quei medici di famiglia che, pur riscontrando un’assenza di patologia fisica nei pazienti che presentano una sintomatologia, non indirizzano questi pazienti a uno psicoterapeuta che è la figura competente per far luce sulla situazione e permettere al paziente di affrontarla).

Tutto ciò allunga i tempi e incrementa la sofferenza della persona che prima di decidersi a chiamare un terapeuta continua a essere ingabbiata dalle sue difficoltà e verosimilmente continuerà a sprecare energia, a rinunciare a occasioni (ludiche, amorose, lavorative, etc.), a rovinarsi le relazioni, a pagare per le sue scelte.

Eccoci arrivati a quello che solo superficialmente può essere considerato un motivo per cui rinunciare alla terapia, i soldi. Rispetto a questo punto, invito i lettori a leggere il mio articolo “4 pregiudizi sullo psicologo” che trovi nel blog e aggiungo che dietro al non voler spendere in questo modo i propri soldi molto spesso si cela la difficoltà personale a investire su di sé, sulla propria capacità di potercela fare e di poter cambiare le cose (questa tra l’altro è una delle difficoltà che riguardano sé stessi e che in terapia può essere sciolta).

Lasciando quindi, in questo articolo, da parte le persone che per tutti questi motivi non decideranno mai di intraprenderla una terapia, diciamo che quando finalmente la persona decide di iniziarla, superato lo scoglio di telefonare ad uno psicoterapeuta per prendere un appuntamento, attraversa un nuovo momento che è quello tra la telefonata e l’incontro: in questo periodo di tempo la persona fa una serie di fantasie su cosa la aspetta e immagina molto su sé stessa, sul terapeuta, su cosa accadrà, etc.

Dentro le interruzioni: all'inizio, a metà, verso la fine del percorso di terapia

Quando poi la persona inizia la terapia e si confronta con la realtà potrà verificare quanto di ciò che ha fantasticato sia effettivamente aderente all’esperienza che sta facendo ed è allora che potrà chiedersi se è in grado di sostenerla.

Spesso tra le motivazioni inconsce di un’interruzione di terapia c’è il confronto tra:

  • ciò che la persona ha fantasticato della terapia e ciò che effettivamente la terapia è;

  • ciò che la terapia fa e ciò che non fa;

  • ciò che il terapeuta fa e ciò che non fa;

  • l’obiettivo della persona e il modo di arrivarci;

  • ciò che la persona vuole ottenere e la fatica emotiva che è disposta a fare per ottenerlo;

  • ciò di cui la persona si lamenta e il costo emotivo che deve sostenere se vuole cambiare le cose di cui si lamenta.

Interrogarsi su questo è fondamentale per comprendere il comportamento di quei pazienti che, pur avendo deciso di iniziare una psicoterapia spinti da motivi per loro importanti, decidono improvvisamente di interrompere il percorso all’inizio (dal primo incontro ai primi 3 mesi) o a metà o verso la fine di esso, a volte comunicando al terapeuta la propria decisione, altre volte sabotando l’appuntamento senza alcuna comunicazione a riguardo.

Ognuno dei tre tipi di interruzione racchiude un senso differente per la persona. Quando il paziente comunica questa decisione il terapeuta ha la possibilità di comprendere insieme al paziente che senso ha per quest’ultimo tale scelta e il paziente può trarre beneficio da quanto scopre in merito (in quanto l’interruzione della terapia è una separazione che rivela aspetti importanti su come il paziente è abituato ad affrontare le separazioni nella sua vita).

Quando invece il paziente sabota sé stesso negandosi questa opportunità, può interrompere il percorso in molti modi: ad esempio comunicando telefonicamente un impegno improvviso senza aggiungere altri dettagli e senza non riprendere un nuovo appuntamento; non presentandosi all’appuntamento fissato senza dare altre comunicazioni; comunicando telefonicamente di dover saltare l’appuntamento e manifestando al contempo l’intenzione di richiamare per fissarne uno nuovo che però non fisserà più.

Ovviamente il modo che la persona adotta per interrompere la terapia rivela aspetti molto importanti di come si muove nel mondo delle sue relazioni e quindi non è mai un modo scelto a caso. Tuttavia che cosa spinge la persona ad usare proprio quel modo per interrompere il percorso è un aspetto di cui può non essere consapevole.

Perché alcune persone interrompono la psicoterapia all’inizio, alcuni a metà e alcuni verso la fine del percorso?

Interrompere all’inizio può avere a che fare con le aspettative. Spesso, complice la disinformazione di cui abbiamo parlato sopra, le persone arrivano in terapia aspettandosi di trovare qualcuno pronto ad elargire consigli: su come comportarsi in una data situazione, su come risolvere un sintomo, su come aiutare un’altra persona etc. La persona cioè si aspetta che il terapeuta sia lì per soddisfare la sua fame di risposte, e guarda il terapeuta come uno che ha studiato tanto da avere tutte le informazioni che servono a lei per risolvere i suoi problemi.

In questo caso l’illusione da sfatare è proprio questa: il terapeuta non è uno che si paga per avere informazioni e quindi per “sapere su” qualcosa, il terapeuta è uno che si paga per fare esperienza di qualcosa e nello specifico la persona lo paga per fare esperienza di come lei si muove nel mondo, di come invece vorrebbe muoversi e di cosa vuole fare per muoversi nel mondo diversamente.

Altre volte, il paziente confonde la figura dello psicoterapeuta con quella del medico, presentandosi come un malato che deve essere curato, quindi si aspetta e aspetta che il terapeuta faccia quello che deve fare per curarlo.

In questo caso l’illusione da sfatare è un’altra: il terapeuta non “prescrive” quello che il paziente deve fare, dire o cambiare. Il terapeuta ascolta la storia del paziente e insieme a lui costruisce la direzione della terapia, perché quello che fa muovere la terapia è la volontà del paziente di andare dentro la sua vita a vedere cosa vuole da sé stesso e per sé stesso.

Interrompere a metà o verso la fine del percorso, cioè quando la persona ha già abbondantemente superato le tentazioni di interrompere all’inizio per i motivi appena evidenziati, ha a che fare con aspetti più profondi e importanti. Ha a che fare con la reazione personale ed emotiva a quello che la terapia sta portando nella propria vita, a quello che sta trasformando, a quello che sta nutrendo nella propria esistenza.

Per esempio, mettiamo il caso che una persona abbia iniziato una psicoterapia perché sentiva il bisogno di lasciare la casa dei genitori ma allo stesso tempo era bloccata in questa scelta, cioè nonostante volesse farlo non riusciva a mettere in atto delle scelte che la avrebbero portata effettivamente a cambiare casa. In una situazione di questo tipo la terapia ha come obiettivo primario quello di andare a vedere cosa blocca la persona nel fare queste scelte (che cosa le accade, che cosa la ferma, che cosa le fa paura, come mai è incastrata, cosa non fa per sbloccarsi, come mai rimanda la scelta pur sentendo la sofferenza di questo rimandare, etc.).

Man mano che la persona lavora in terapia su questi e altri nodi verso il suo obiettivo, entrerà in contatto emotivo con aspetti di sé stessa non sempre piacevoli, non sempre leggeri da sostenere, attraverserà fasi di scoraggiamento, in cui tutto le sembra inutile, in cui la fatica da fare per raggiungere l’obiettivo è troppa, etc.

Imparare a reggere tutto questo a livello emotivo fa parte del percorso, che per definizione va a toccare tasti scomodi e per definizione conduce a momenti duri da attraversare: scegliere di attraversarli però è avere la possibilità di sciogliere il problema per cui si è deciso di iniziare la terapia!

I momenti duri possono essere sia quelli spiacevoli che quelli piacevoli: sembra un paradosso ma sono tante le persone che non riescono a stare nel piacere, a tollerarlo (per inciso è utile ricordare che la psicoterapia non serve solo quando c’è un problema, serve anche quando vorremmo che le cose piacevoli della nostra vita si mantengano, diventino di più, si estendano, etc.).

Il terapeuta in questi momenti sostiene il paziente e fa il tifo perché non molli tutto proprio quando è decisivo non mollare.

Quando il paziente si trova ad affrontare l’arrivo dei cambiamenti che la terapia porta e si rende conto che li porta davvero, può non riconoscere di avere paura e quindi mettersi sulla difensiva.

L’interruzione allora diventa la difesa per eccellenza: riconoscere di avere paura infatti porterebbe la persona ad affrontare i suoi timori in terapia allo scopo di superarli e superarli vorrebbe dire, per tornare al nostro esempio, che è giunto il momento di scegliere!

Interrompendo questo processo il paziente trova il modo di rimanere fermo rinforzando il blocco che l’ha portato inizialmente a chiedere una psicoterapia. Così facendo purtroppo “si da la zappa sui piedi” perché si mette da solo in condizione di non risolvere il problema che tanto avrebbe voluto risolvere in terapia.

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