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Lo studio del terapeuta: la spaziosità come metafora di contenimento emotivo


La vita di tutti noi si sviluppa in un tempo e in uno spazio, ma ciò che fa di ognuno di noi una persona unica è il modo in cui ognuno di noi vive queste due dimensioni dell’esistenza. Il tempo rappresenta il terreno in cui si articola l’esistenza e lo spazio è lo sfondo del nostro agire, il contorno che ci demarca, il luogo in cui transitiamo.

In questo articolo voglio evidenziare l’importanza per uno Psicoterapeuta di tenere ben presenti queste dimensioni vissute nello scambio comunicativo verbale e non verbale che avviene durante un colloquio. Specialmente quando paziente e terapeuta si incontrano per la prima volta e cioè in sede di primo colloquio.

Durante il primo colloquio il terapeuta è interessato a comprendere che cosa ha portato il paziente a contattarlo, qual è la sua richiesta di aiuto, quali sono gli obiettivi e le aspettative che il paziente ha e quali non ha, qual è o quali sono le problematiche, e questioni, le situazioni per le quali il paziente richiede l’attenzione del terapeuta, quale tipo di percorso immagina il paziente, che storia porta di sé stesso e del suo mondo.

E’ in questo flusso di immagini, parole, gesti, suoni che il terapeuta sente, percepisce, si forma una primissima fantasia sulla persona che ha davanti, ed è proprio allo scopo di dargli corpo che inizia a chiedere, a raccogliere informazioni per verificarne insieme al paziente la tenuta e l’aderenza alla sua realtà.

Nell’andirivieni di questo dialogo il terapeuta e il paziente abitano la stanza in cui il colloquio si sta svolgendo, quella stanza che tecnicamente chiamiamo setting. Il setting acquista un valore specifico per ogni persona e cogliere quale senso il paziente gli sta dando è fondamentale.

“Come trova questo ambiente?” allora diventa una domanda cruciale che apre la strada all’emergere dello sfondo nella dinamica tra terapeuta e paziente.

I colori, le luci, i profumi, i tappeti, i quadri, i libri, gli arredi, la fattezza delle poltroncine e/o delle sedie, al di là dell’estetica e del gusto personale, fanno un effetto emotivo sulle persone e raccogliere quali effetti suscita l’ambiente dello studio al paziente è compito del terapeuta, attento e curioso osservatore innanzitutto.

Un indicatore chiave è quello dello spazio dello studio cioè della sua spaziosità: infatti, al di là delle effettive dimensioni la stanza del terapeuta sarà percepita da alcuni come piccola e accogliente, da altri come intima e calda, da altri ancora come ampia e luminosa e così via.

Gli aggettivi qualificativi con cui il paziente descrive lo studio ci dicono molto su come vive lo spazio e su come si muove nello spazio della sua vita e delle sue relazioni.

Così lo spazio esterno si fa metafora evocativa dello spazio interno della persona che abbiamo di fronte: allora la domanda “come trova questo ambiente?” fa posto a “come si trova in questo ambiente?” suggerendoci un modo di guardare il paziente che svela tra le pieghe come lui guarda la sua problematica, quella per cui è venuto da noi.

Quando la stanza è descritta come piccola o grande è di grande utilità andare a vedere per cosa è piccola o grande, cioè mettere in relazione la qualità con l’oggetto a cui si riferisce. E l’oggetto a cui si riferisce non è quasi mai solo la stanza intesa come luogo fisico, ma ha a che fare invece con la stanza dell’anima che il paziente ci vuole aprire.

Mentre ascolta quel paziente, il terapeuta sente come si configura il suo spazio man mano che il colloquio procede: il suo spazio e quello del paziente sono simili? ci sono strettoie? sente il bisogno di maggiore o minore spazio per stare con quel cliente durante la seduta?, etc.

Lo spazio dunque evoca immagini, ricordi, pensieri che popolano lo sfondo di quell’incontro facendo emergere l’angolazione da cui il paziente sta guardando le sue problematiche.

“Questa stanza mi sembra troppo piccola” allora può acquistare un altro senso, può ad esempio voler comunicare il timore che i propri problemi siano così grandi da non poter essere contenuti da quello spazio. Il bisogno di contenimento emotivo si palesa attraverso una metafora che apparentemente riguarda una stanza.

Così può iniziare un percorso di conoscenza di sé, calibrando da subito la spaziosità necessaria all’apertura della propria anima e r-assicurandosi della “capienza interna” del terapeuta che abbiamo scelto per accoglierla.

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