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Lo Psicoterapeuta non è un amico pagato! Vediamo perchè e come evitare pericolosi equivoci


Un argomento quanto mai confuso è proprio quello anticipato dal titolo di questo articolo. Proprio per questo mai ci stancheremo di evidenziare le differenze tra amicizia e psicoterapia.

Persone senza gli strumenti adeguati di conoscenza infatti rischiano pericolosamente di equivocare il consiglio di un amico con tutt’altro e viceversa di considerare che il supporto di un terapeuta in un momento della vita sia la stessa cosa che passare un’ora a chiacchierare con un amico delle proprie vicissitudini personali.

È allora necessario dire, e non si ripeterà mai abbastanza, che psicoterapeuta e amico sono parole diverse che indicano situazioni molto diverse.

Una cosa è parlare dei propri problemi a un amico davanti a un pezzo di torta e un caffè, un’altra è prendere un appuntamento dallo Psicoterapeuta e parlargli di sé e dei propri problemi. Sono due circostanze completamente diverse.

Uno Psicoterapeuta non è un amico pagato! Vediamo perché.

Lo Psicoterapeuta non da consigli!! E' attento a non cadere nella trappola manipolatoria di questo tipo di richiesta. E lo fa perchè solo in questo modo può dare aiuto reale: lo Psicoterapeuta osserva quello che sta accadendo, e lavora perché il paziente trovi il suo modo di risolvere il suo problema. È lì per seguirlo lungo questa strada, per vedere come si blocca, dove incespica, e per aiutarlo a vedere come fa a fare questo. Questo processo, proprio perché è altra cosa rispetto al dare consigli, può essere e anche doloroso perché implica che il paziente contatti i propri personali punti di dolore e fragilità.

Come sancito dall’articolo 28 del codice deontologico lo Psicoterapeuta non può lavorare con persone con le quali "ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative di natura personale, in particolare di natura affettivo-sentimentale e/o sessuale". Questo vuol dire che lo Psicoterapeuta non può prendere come paziente un amico.

Il focus della relazione è il paziente. Per questo il terapeuta non risponde ai problemi del paziente raccontando/condividendo i suoi problemi o le sue questioni, come farebbe invece un amico! Tra terapeuta e paziente il discorso è incentrato sul paziente e su quello che lui ha da dire.

Il paziente che va da uno Psicoterapeuta si riserva la sua ora di terapia pagando un onorario al terapeuta con cui concorda gli appuntamenti. Il pagamento, oltre ad essere il compenso del professionista, ha un valore nella relazione: è il mezzo di scambio tra terapeuta e paziente e serve a mantenere quella giusta distanza all’interno della quale c’è può esistere l’aiuto. La relazione tra terapeuta e paziente infatti è un tipo di relazione d’aiuto e non a caso si chiama così.

Lo Psicoterapeuta ha una formazione specifica, i suoi strumenti specifici, il suo modello di approccio e di intervento al problema.

Deve aver seguito una terapia personale per sviluppare l’abilità di stare a contatto con le proprie questioni personali che ri-affiorano senza però agirle nella relazione, quando queste si ri-attivano nel rapporto col paziente. Un amico invece nel dare un consiglio può mescolare i suoi problemi con quelli dell’altro e rispondere sulla base di questi.

Il paziente all’interno della relazione psicoterapeutica sviluppa un'intimità e una profondità comunicativa diversa da quella che si raggiunge con un amico, perché lo Psicoterapeuta è tenuto al segreto professionale e quindi a proteggere il paziente garantendogli la sicurezza che tutto quello che dirà non uscirà dalla stanza di terapia. Lo spazio e il tempo delle sedute sono protetti e forniscono al paziente la rassicurazione necessaria perché possa esprimersi in sicurezza ed essere ciò che è senza venire giudicato.

E quando la terapia termina terapeuta e paziente possono diventare amici?

Il terapeuta ha rappresentato e rappresenta nella vita del paziente una persona significativa, perciò il paziente può avere la fantasia di diventare amico di quello che è stato il suo terapeuta. Ciò segnala al paziente i desideri che ha proiettato sul terapeuta, di cui ora può riappropriarsi acquisendo la consapevolezza di che cosa ha bisogno per la sua vita.

Proprio perché questa riappropriazione possa avvenire, lo psicoterapeuta sa che anche quando la relazione d’aiuto finisce, non stringerà amicizia con quello che è stato un suo paziente, non perché non provi sincero affetto per lui, ma per almeno due motivi importanti:

  1. Perché il terapeuta che ha svolto un buon lavoro rimane nella vita del paziente un punto di riferimento e come tale può essere ri-contattato dal paziente in un momento successivo alla fine della terapia (anche a distanza di mesi o anni). Perché questa condizione possa verificarsi il terapeuta non deve alterare il rapporto che ha avuto con il paziente trasformandolo in amicizia neanche al termine della terapia.

  2. Perché affinché il paziente possa ri-contattare in seguito il terapeuta per un successivo percorso (di sostegno, di terapia, etc.), il paziente deve rimanere l’unico centro della relazione e per far questo non è utile che abbia accesso alla vita privata del terapeuta (cosa che accadrebbe se stringessero amicizia).

Questo non impedirà al paziente di continuare a provare stima, affetto e gratitudine per il suo terapeuta: il paziente porterà dentro di sé sempre l’esperienza vissuta nella relazione terapeutica, come guida interna, come un rialzo nelle scarpe che utilizzerà per-correre nella sua vita.

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