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Ipocondria: cosa è immaginario e cosa non lo è affatto



Ipocondria: cosa è immaginario e cosa non lo è affatto


Il drammaturgo francese Molière la rappresenta nell’opera “Il malato immaginario” interpretando lui stesso il protagonista.


La parola immaginario rischia però di fuorviarci rispetto al vissuto di una persona che sperimenta quell’esperienza conosciuta come ipocondria, se non lo cogliamo appieno. Chi non è abituato ad essere attento al vissuto altrui potrebbe infatti erroneamente e frettolosamente concludere fra sé che la persona ipocondriaca è una persona che si immagina di stare male e invece sta bene. Niente di più sbagliato.


L’ipocondria è infatti uno dei disturbi che tecnicamente chiamiamo somatoformi cioè quelli caratterizzati dalla presenza di sintomi fisici che può far pensare a una patologia fisica mentre in realtà tali sintomi sono legati ad aspetti psicologici, che hanno degli effetti e si manifestano anche a livello corporeo.

La parola immaginario dunque è legata al fatto che la persona immagina di avere una malattia mortale a fronte di sintomi fisici comuni e di esami medici negativi, non è certo legato invece al fatto che la persona immagina di stare male! Detto in altri termini, non è per niente immaginario lo stato di disagio e di malessere che la persona vive. La sofferenza è realissima e va rispettato il vissuto della persona che la sperimenta.


Come riconoscere l’ipocondria


La persona che vive l’esperienza ipocondriaca è preoccupata rispetto alle proprie funzioni corporee come il battito del cuore e le sensazioni fisiche in genere. La persona che vive quest’esperienza attribuisce ogni sbalzo, modificazione temporanea, cambiamento di queste funzioni a qualche grave malattia che l’ha colpita ed è molto in ansia rispetto al capire la causa della malattia che potrebbe averla colpita.


La preoccupazione che affligge la persona che sperimenta l’ipocondria è un tipo di preoccupazione legata alla paura, al sospetto e talvolta alla convinzione di avere una malattia grave che la persona deduce di avere attribuendo ai sintomi fisici che sente un’interpretazione avversa per la propria salute.

Si parla di ipocondria vera e propria quando questa preoccupazione continua nonostante gli accertamenti medici evidenzino l’assenza di patologie fisiche: la preoccupazione riguarda anche la qualità degli esami medici. Si fa diagnosi di ipocondria quando la durata dello stato di preoccupazione è di almeno sei mesi e interferisce con la quotidianità sia rispetto all’ambito lavorativo che a quello relazionale.


Ipocondria e quotidianità


La quotidianità è trasformata da un’attenzione costante ai minimi segnali del corpo accompagnata da continue richieste di analisi e visite mediche, da relazioni che progressivamente finiscono coll’essere risucchiate dall’atteggiamento più o meno esplicito e pervasivo di ricerca rassicurante.


Nella persona ipocondriaca il timore di potersi ammalare è sempre attivo come un allarme che non smette di suonare, nessun esame o medico da cui si fa visitare è in grado di rassicurarla sul reale stato di salute tanto che la persona sente la spinta ad ascoltare più pareri per confrontarli, a cercare in internet i sintomi e fare autodiagnosi a conferma della sua percezione delle cose. Anche il sentir nominare una malattia può indurre la persona a rintracciarne in lei alcuni sintomi.


Queste persone quando parlano di sé stesse non possono fare a meno di raccontare minuziosamente i sintomi, i dolori che avvertono. Spesso negli occhi degli altri leggono incomprensione per il loro livello di preoccupazione che appare sovrabbondante. Di conseguenza queste persone si sentono insicure: rischiano di danneggiare le loro relazioni perché l’operazione di sdrammatizzazione altrui le ferisce. A seconda della corda di dolore che questa ferita va a toccare la persona ipocondriaca può rinunciare ai contatti sociali e isolarsi sempre di più creandosi un guscio protettivo che limita fortemente la qualità della sua vita.


Come si sviluppa e come se ne esce


La paura come tutte le nostre emozioni è un’alleata nella nostra vita perché ci indica quello che ci accade e in particolare ci indica che c’è un pericolo da qualche parte mettendoci in allerta, facendoci “stare con gli occhi aperti”.


Il problema della persona ipocondriaca non è nel fatto che ha paura e non deve averla, ma è in come utilizza la paura che sente: confondere un dolore intercostale con un principio di infarto o una cefalea tensiva con un tumore al cervello ha a che vedere con come quella persona gestisce la paura che sente. Non con la paura in sé.


Le persone che hanno subìto un grave stress, che hanno alle spalle storie di abusi, di interventi chirurgici invasivi, che hanno disabilità, che hanno avuto esperienze traumatiche di morte o malattia riguardante persone a loro care sono maggiormente vulnerabili allo sviluppo dell’ipocondria.


Un punto cardine nella psicoterapia con la persona che soffre di ipocondria è il lavoro sull’incertezza dell’esistenza che comprende la possibilità umana della malattia, dell’imperfezione e del disagio.

All’interno di questo sfondo la persona potrà acquisire la consapevolezza necessaria a rompere i suoi automatismi nei punti in cui non portano beneficio all’esistenza. Il miglioramento della qualità della vita è certamente possibile e il lavoro su di sé è la condizione essenziale per far ripartire anche quelle relazioni che l’atteggiamento ipocondriaco ha arrugginito se non distrutto.



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